Avvenire – Dal lager note di speranza

A Mantova torna a suonare il clarinetto che fu testimone della persecuzione nazista contro gli ebrei. Merito di uno scrittore che ha deciso di raccontare una storia bellissima e vera

Avvenire, Popotus – Quando è capitato nelle mani dello scrittore Matteo Corradini, quel clarinetto era davvero malandato. E non solo perché, ormai, erano passati settant’anni da quando era uscito dalle officine Zalud, una fabbrica che, prima della Seconda guerra mondiale, aveva sede nella cittadina ceca di Terezin.Tanti drammi si erano susseguiti da allora, tante tragedie. Di tutte il clarinetto era stato testimone. Di tutte portava i segni: crepe, ammaccature, ferite di un passato impossibile da dimenticare. Con pazienza, un pezzo dopo l’altro, lo strumento è stato restaurato e fra poco, dopo un silenzio durato troppi anni, tornerà finalmente a suonare. Succederà a Mantova, durante il Festivaletteratura, in un incontro di «lettura musicale» intitolato «La farfalla risorta» (Auditorium del Conservatorio Campiani, domenica, ore 11). Il richiamo è a «La repubblica delle farfalle», il libro – edito da Rizzoli – in cui Corradini ha ricostruito la vicenda, terribile e bellissima, di Terezin, la città trasformata in campo di concentramento dalla follia nazista. Il clarinetto apparteneva a un ebreo, che lo aveva acquistato da uomo libero e si era poi ritrovato a suonarlo da prigioniero in quel Lager così diverso dagli altri, dove l’arte veniva tollerata e, per un certo periodo, addirittura incoraggiata. Poi era venuto, anche per lui, il momento di salire su un treno diretto verso lo sterminio. Il clarinetto lo aveva abbandonato dietro di sé, forse augurandosi che qualcuno lo ritrovasse e tornasse a far risuonare la sua voce. La voce delle vittime, la voce della speranza.

La città-prigione salvata dall’arte

Verso la fine del 1941 Terezin fu trasformata in un «campo modello», che le autorità naziste pensavano di far visitare alle autorità internazionali per dimostrare che, in fondo, nei Lager non succedeva niente di brutto. La città, che all’epoca contava 7.000 abitanti, sembrava perfetta per lo scopo: fondata nel Settecento dall’imperatore Giuseppe II in onore della madre Maria Teresa (il nome tedesco, Theresienstadt, significa appunto «città di Teresa»), aveva la pianta di un accampamento militare. Bastava recintarla e il gioco era fatto. Nel piccolo centro, distante circa 60 chilometri da Praga, furono ammassati fino 40mila prigionieri, tutti ebrei. Di loro 15mila erano bambini. Nel 1945, alla fine della guerra, i piccoli sopravvissuti non erano più di cento. Gli altri erano morti ad Auschwitz e in altri campi di sterminio, oppure erano stati uccisi dal tifo e dalle tante malattie che presto avevano iniziato a diffondersi a Terezin. Restava però una differenza: nella città-prigione si poteva fare musica, dipingere, praticare altre forme d’arte. E, più che altro, i ragazzi potevano ricevere un’istruzione. All’inizio tutto si svolgeva in maniera ordinata e «ufficiale», ma anche in seguito, quando i nazisti avevano ormai abbandonato la messinscena del «campo-modello», un gruppo di coraggiosi insegnanti volontari continuò a incoraggiare i bambini perché disegnassero, scrivessero, componessero poesie e dessero sfogo ai loro pensieri. Sono le «farfalle» alle quali Matteo Corradini si dedica con passione, anche raccogliendo documenti, cartoline e ogni altro oggetto proveniente da Terezin. Salvare le cose non significa salvare le persone, purtroppo. Ma aiuta a non dimenticarle.